Matteo Bruni
Buonasera a tutti. Santità, sono stati giorni di pellegrinaggio e di penitenza in varie tappe con tanti incontri, gesti – questo ultimo, toccante, a Iqaluit. Questi giorni – lo ha detto Lei stesso – non si concludono nel lasciare questa terra, e anche in questo senso arriviamo a questo incontro con i giornalisti. Ma forse Lei vorrà dirci qualche parola prima ancora di incominciarlo …
Papa Francesco
Buona sera e grazie dell’accompagnamento vostro, del vostro lavoro qui. So che avete lavorato tanto, mi hanno detto come vi siete mossi. E grazie anche della compagnia. Grazie.
Matteo Bruni
La prima domanda, questa sera, è di Jessica Ka’Nhehsíio DEER, giornalista canadese di origine Inuit.
Jessica Ka’Nhehsíio DEER (CBC RADIO – CANADA INDIGENOUS)
In quanto discendente di un sopravvissuto di una scuola residenziale, so che i sopravvissuti e le loro famiglie vogliono vedere azioni concrete che seguano le Sue scuse, compreso il rifiuto della “dottrina della scoperta”. Considerando che questa è ancora inserita nella Costituzione e nei sistemi legali in Canada e negli Stati Uniti, dove le popolazioni indigene continuano a essere defraudate delle loro terre e private di potere, non è stata un’occasione perduta per fare una dichiarazione in tal senso durante il Suo viaggio in Canada?
Papa Francesco
Sull’ultima cosa, non capisco il problema…
Jessica Ka’Nhehsíio DEER
È nel fatto che le popolazioni indigene ancora oggi sono private di terre e potere, in forza di quelle Bolle papali e di questo concetto della dottrina della scoperta.
Quando parlo con persone indigene, loro dicono che quando le persone sono venute a colonizzare le Americhe, c’era questa dottrina della scoperta che dava in qualche modo forza all’idea che i popoli indigeni dei nuovi Paesi fossero inferiori rispetto ai cattolici. Questo è il modo in cui il Canada e gli Stati Uniti sono diventati “Paesi”.
Papa Francesco
Grazie per la domanda. Credo che questo sia un problema di ogni colonialismo. Anche oggi: le colonizzazioni ideologiche di oggi hanno lo stesso schema. Chi non entra nella sua via, è inferiore. Ma voglio andare più avanti, su questo. Erano considerati non solo inferiori: qualche teologo un po’ pazzo si domandava se avessero un’anima. Quando Giovanni Paolo II è andato in Africa, alla porta dove gli schiavi venivano imbarcati [Isola di Gorée, la porta del non ritorno], ha dato un segnale perché noi arrivassimo a capire il dramma, il dramma criminale: quella gente era buttata nella nave, in condizioni disastrose e poi erano schiavi in America. È vero che c’erano voci che parlavano chiaro, come Bartolomeo de las Casas, per esempio, Pedro Claver, ma erano la minoranza. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente. E dico la coscienza, perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa… Sempre noi abbiamo – mi permetto di dirlo – come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato, nostro, e a volte perdiamo dei valori che loro hanno.
Per esempio: i popoli indigeni hanno un grande valore che è l’armonia con il Creato, e almeno alcuni che conosco lo esprimono nella parola vivere bene [bien vivir]. Questa parola non vuol dire, come intendiamo noi occidentali, passarla bene o fare la dolce vita, no. Vivere bene è custodire l’armonia. E questo per me è il grande valore dei popoli originari. L’armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa: invece i popoli originari – sto parlando in genere – sanno esprimersi in tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore e quello delle mani. Ma tutti insieme e sanno avere questo linguaggio con il creato.
Poi, questo progressismo accelerato dello sviluppo un po’ esagerato, un po’ nevrotico che noi abbiamo, non è vero? Non parlo contro lo sviluppo: lo sviluppo è buono. Ma non è buono con l’ansia dello sviluppo sviluppo sviluppo… Guarda, una delle cose che la nostra civiltà sovrasviluppata, commerciale ha perso è la capacità della poesia: i popoli indigeni hanno quella capacità poetica. Non sto idealizzando.
Poi, questa dottrina della colonizzazione: è vero, è cattiva, è ingiusta. Anche oggi è usata, lo stesso, con guanti di seta, forse, ma è usata, oggi. Per esempio, alcuni vescovi di qualche Paese mi hanno detto: “Il nostro Paese, quando chiede un credito a un’organizzazione internazionale, ci mettono delle condizioni, anche legislative, colonialiste. Per darti il credito ti fanno cambiare un po’ il tuo modo di vivere”. Tornando alla colonizzazione nostra dell’America, quella degli inglesi, dei francesi, degli spagnoli, dei portoghesi: sono quattro [potenze coloniali] per le quali sempre c’è stato quel pericolo, anzi, quella mentalità “noi siamo superiori e questi indigeni non contano”, e questo è grave. Per questo dobbiamo lavorare in quello che tu dici: andare indietro e sanificare, diciamo così, quello che è stato fatto male, nella consapevolezza che anche oggi esiste lo stesso colonialismo. Pensa, per esempio, a un caso, che è universale e mi permetto di dirlo: penso al caso dei Rohingya, in Myanmar: non hanno diritto a cittadinanza, sono di un livello inferiore. Anche oggi. Thank you very much.
Matteo Bruni
La seconda domanda, Santità, viene da un’altra giornalista canadese, Brittany Hobson.
Brittany HOBSON (THE CANADIAN PRESS)
Buona sera, Papa Francesco. Mi chiamo Brittany Hobson, del Canadian Press. Spesso Lei ha detto che è necessario parlare in termini chiari, onesto, diretti e con parresia. Lei sa che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione ha descritto il sistema delle scuole residenziali come genocidio culturale, e questa espressione è stata corretta in genocidio semplicemente. Le persone che in questa scorsa settimana hanno ascoltato le Sue parole di scusa hanno lamentato il fatto che non sia stato usato il termine genocidio. Lei userebbe questo termine e riconoscerebbe che membri della Chiesa hanno partecipato a questo genocidio?
Papa Francesco
È vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono per questo lavoro che è genocida. Per esempio, ho condannato questo pure: togliere i bambini, cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni, cambiare una razza, diciamo così, tutta una cultura. Sì, è una parola tecnica – genocidio – ma io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente. Ma ho descritto che era vero, sì, era un genocidio, sì, sì, tranquilli. Tu dì che io ho detto che sì, è stato un genocidio. Thank you.
Matteo Bruni
L’altra domanda viene da Valentina Alazraki – la conosce bene – di Televisa.
Maria Valentina ALAZRAKI CRASTICH (TELEVISA)
Papa Francesco, buona sera. Supponiamo che questo viaggio in Canada sia stato anche un test, una prova per la Sua salute, per quelle che Lei questa mattina ha definito “limitazioni fisiche”. Allora volevamo sapere: dopo questa settimana, cosa ci può dire dei Suoi futuri viaggi? Se vuole continuare a viaggiare così? Se ci saranno dei viaggi che non può fare per queste limitazioni oppure se magari dopo una settimana pensa che l’operazione al ginocchio potrebbe risolvere di più la situazione e viaggiare in una maniera… come prima?
Papa Francesco
Grazie. Non so… Non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione devo risparmiare un po’ per poter servire la Chiesa o, al contrario, pensare alla possibilità di farmi da parte. Questo con tutta onestà. Non è una catastrofe, si può cambiare Papa, si può cambiare, non c’è problema! Ma credo che devo limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, non va nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c’è tutto il problema dell’anestesia: io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si gioca, non si scherza con l’anestesia. E per questo si pensa che non sia del tutto conveniente. Ma io cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente, perché credo che sia un modo di servire, la vicinanza. Ma più di questo non mi viene di dire. Speriamo… In Messico non è previsto… ancora!
Maria Valentina ALAZRAKI
E Kazakhstan? E se va in Kazakhstan, non dovrebbe anche andare in Ucraina, magari, se va in Kazakhstan?
Papa Francesco
Io ho detto che in Ucraina vorrei andarci. Vediamo adesso cosa trovo quando vedo a casa. Il Kazakhstan, per il momento, mi piacerebbe andare: è un viaggio tranquillo, senza tanto movimento, è un congresso di religioni. Ma per il momento, tutto rimane. Devo andare anche in Sud Sudan prima che nel Congo, perché è un viaggio con l’Arcivescovo di Canterbury e con il Vescovo della Chiesa di Scozia, tutti e tre insieme, come tutti e tre abbiamo fatto il ritiro di due anni fa. Poi il Congo. Ma sarà l’anno prossimo, perché c’è la stagione delle piogge… Vediamo. Io ho tutta la buona volontà, ma vediamo la gamba cosa dice.
Matteo Bruni
La prossima domanda Santità è di Caroline Pigozzi, di Paris Match.
Caroline Pigozzi
Buonasera Santo Padre, stamattina ha incontrato nell’arcivescovado, come ogni volta che si reca in un Paese, i membri locali della Compagnia di Gesù, la sua famiglia. Nove anni fa, tornando dalla GMG in Brasile, le avevo chiesto, il 28 luglio 2013, se si sentiva ancora gesuita. La risposta fu positiva. Il 4 dicembre scorso Lei ha spiegato, dopo aver visto ad Atene i gesuiti della Grecia: “Quando uno avvia un processo deve lasciare che si sviluppi, che un’opera cresca e poi ritirarsi. Ogni gesuita deve fare così, nessuna opera gli appartiene perché è del Signore”. Santo Padre, questa dichiarazione potrebbe anche un giorno essere valida per un Papa gesuita?
Papa Francesco
Credo di sì, sì.
Caroline Pigozzi
Vuol dire che potrebbe ritirarsi come i gesuiti?
Papa Francesco
Sì, sì, è una vocazione.
Caroline Pigozzi
Di essere Papa o di essere gesuita?
Papa Francesco
Che il Signore dica. Il gesuita cerca – cerca, non lo fa sempre, non può, cerca – di fare la volontà del Signore, anche il Papa gesuita deve fare lo stesso. Quando il Signore parla, se il Signore ti dice “vai avanti”, tu vai avanti; se il Signore ti dice “vai all’angolo”, te ne vai all’angolo. Ma è il Signore che…
Caroline Pigozzi
Ma quello che dice vuol dire che si aspetta la morte a quel punto…
Papa Francesco
Ma tutti noi aspettiamo la morte!
Caroline Pigozzi
No, ma voglio dire, non si ritira prima…
Papa Francesco
Quello che il Signore dica. Il Signore può dire: “Dimettiti”. È il Signore che comanda. Una cosa su Sant’Ignazio, questo è importante: quando uno era stanco, malato, diceva a Sant’Ignazio: “Io non posso fare la preghiera”, e lui dispensava dalla preghiera. Ma mai dispensava dall’esame di coscienza: due volte al giorno guardare cosa è successo… Non è questione di peccati o non peccati, no: “Quale spirito mi ha mosso oggi?”. La nostra vocazione diceva: cercare cosa è successo oggi. Se io – questa è un’ipotesi – vedo che il Signore mi dice qualcosa, un’ispirazione di quello o dell’altro, devo fare un discernimento per vedere cosa chiede il Signore. E può darsi che il Signore mi vuole mandare all’angolo, è cosa sua, è Lui che comanda. Questo credo che è il modo religioso di vivere di un gesuita: stare nel discernimento spirituale per prendere delle decisioni, per scegliere vie di lavoro e anche scegliere gli impegni. Il discernimento è chiave nella vocazione del gesuita. Questo è importante. Sant’Ignazio in questo era molto fermo, perché è stata la sua propria esperienza del discernimento spirituale che lo ha portato alla conversione. E gli esercizi spirituali sono davvero una scuola di discernimento. Così, il gesuita dev’essere per vocazione un uomo di discernimento, discernere le situazioni, discernere la propria coscienza, discernere le decisioni da prendere. E per questo dev’essere aperto a qualsiasi cosa che il Signore gli chieda. Questa è un po’ la nostra spiritualità.
Caroline Pigozzi
Ma Lei si sente più Papa o più gesuita adesso?
Papa Francesco
Mai ho fatto quella misura! Mai l’ho fatta! Io mi sento servitore del Signore, con l’abitudine gesuita, perché non esiste una spiritualità papale, quella non esiste. Ogni Papa porta avanti la propria spiritualità. Pensa a san Giovanni Paolo II, con quella bella spiritualità mariana che aveva, l’aveva prima e l’aveva da Papa. Pensa a tanti Papi che hanno portato avanti la propria spiritualità. Il papato non è una spiritualità, è un lavoro, è una funzione, è un servizio, ma ognuno lo porta avanti con la propria spiritualità, con il proprio grazie, con la propria fedeltà e anche con i propri peccati. Ma non c’è una spiritualità papale, per questo non c’è confronto tra la spiritualità gesuitica e la spiritualità papale perché questa seconda non esiste. Hai capito? Grazie, grazie.
Matteo Bruni
Un’altra domanda, Santità, viene da una giornalista tedesca, Severina BARTONITSCHEK, dell’Agenzia di stampa cattolica tedesca.
Severina Elisabeth BARTONITSCHEK (CIC)
Buona sera. Santo Padre, ieri ha parlato anche della fraternità della Chiesa, di una comunità che sa ascoltare e entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni. Ma qualche giorno fa c’è stata la dichiarazione della Santa Sede sul Cammino sinodale della Germania, senza firma. Pensa che questo modo di comunicare contribuisce oppure è un ostacolo per il dialogo?
Papa Francesco
Prima di tutto, quel comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato, è stato uno sbaglio non dire sotto… Credo che si diceva “Comunicato della Segreteria di Stato” ma non sono sicuro. Ma è stato uno sbaglio non firmare come Segreteria di Stato, uno sbaglio di ufficio, non di cattiva volontà. Questo sull’ultima cosa. E sul sogenannter synodaler Weg, sul cammino sinodale, io scrissi una lettera – da solo l’ho fatta, un mese con preghiera, riflessione, consultazioni –, e ho detto tutto quello che dovevo dire sul Cammino sinodale, più di quello non dirò. Quello è il Magistero papale sul Cammino sinodale, quella lettera che scrissi due [tre] anni fa. Ho scavalcato la Curia, perché non ho fatto consultazioni, niente. Ho fatto come un cammino mio, anche come pastore per una Chiesa che sta cercando un cammino, come fratello, come padre, come credente, l’ho fatto così. E questo è il mio messaggio. So che non è facile, ma lì è tutto, in quella lettera. Grazie.
Matteo Bruni
La prossima domanda è di Ignazio Ingrao di Raiuno.
Ignazio Ingrao (RAI – TG1)
L’Italia sta attraversando un momento difficile che desta preoccupazione anche a livello internazionale. C’è la crisi economica, la pandemia, la guerra e ora ci troviamo anche senza un governo. Lei è il Primate d’Italia: nel telegramma al Presidente Mattarella per il suo compleanno ha parlato di un Paese segnato da non poche difficoltà e chiamato a scelte cruciali. Come ha vissuto la caduta di Draghi?
Papa Francesco
Prima di tutto io non voglio immischiarmi nella politica interna italiana. Secondo: Nessuno può dire che il presidente Draghi non fosse un uomo di alta qualità internazionale. È stato presidente della Banca Centrale Europea, una buona carriera, diciamo così. E poi ho fatto una domanda soltanto a uno dei miei collaboratori: “Dimmi, quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo?”. E mi ha detto: “20”. Questa è la mia risposta.
Ignazio Ingrao
Ma Lei che appello fa alle forze politiche in vista di queste difficili elezioni?
Papa Francesco
Responsabilità. Responsabilità civica.
Matteo Bruni
Grazie Santità, grazie Ignazio. E la prossima domanda è di Claire Giangravè, del Religion News Service, una giornalista.
Claire Giangravè (RELIGION NEWS SERVICE)
Salve, Santo Padre, buonasera. Molti cattolici, ma anche molti teologi, credono che sia necessario uno sviluppo nella dottrina della Chiesa per quanto riguarda gli anticoncezionali. Sembrerebbe che anche il suo predecessore, Giovanni Paolo I, pensasse che un divieto totale magari necessitasse di una riconsiderazione. Lei cosa pensa al riguardo, nel senso: è aperto, insomma ad una rivalutazione in questo senso? O esiste una possibilità per una coppia di considerare gli anticoncezionali?
Papa Francesco
Ho capito, questa è una cosa molto puntuale. Sappiate che il dogma, la morale, è sempre in una strada di sviluppo, ma sviluppo nello stesso senso. Per utilizzare una cosa che è chiara, credo di averlo detto altre volte qui, per lo sviluppo di una questione morale, uno sviluppo teologico, diciamo così, o dogmatico, c’è una regola che è chiarissima e illuminante, l’ho detto altre volte: quello che ha fatto Vincenzo di Lérins, nel secolo V, era un francese. Dice che la vera dottrina, per andare avanti, per svilupparsi, non deve essere quieta, si sviluppa ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Cioè si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diventa più ferma ma sempre progredendo. È per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica. Non si può fare teologia con un “no” davanti. Poi sarà il Magistero a dire: “No, sei andato oltre, torna”. Ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti. Sul problema degli anticoncezionali, so che è uscita una pubblicazione, su questo tema e altri temi matrimoniali. Sono gli atti di un congresso e nel congresso ci sono le “ponenze”, poi discutono fra loro e fanno le proposte. Dobbiamo essere chiari: questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere, perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori, come ho detto con quella regola di Vincenzo di Lérins. Poi il Magistero dirà: “Sì va bene” – “Non va bene”.
Ma tante cose sono chiamate in causa. Pensa per esempio alle armi atomiche: oggi ho ufficialmente dichiarato che l’uso e il possesso delle armi atomiche è immorale. Pensa alla pena di morte: prima la pena di morte, sì… Adesso posso dire che siamo vicino all’immoralità, perché la coscienza morale si è sviluppata bene…
Per essere chiaro: quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione, con le tre regole di Vincenzo di Lérins. Credo che questo sia molto chiaro: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero, è una Chiesa che va indietro. E questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono “tradizionali”. No, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici. Sempre è stato fatto così, nel secolo scorso è stato fatto così. E l’“indietrismo” è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione – diceva qualcuno, credo che l’ho detto in uno dei discorsi -, la tradizione è la fede viva dei morti. Invece per questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti è la fede morta dei viventi. La tradizione è proprio la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. E sempre questo è verticale. L’“indietrismo” è andare indietro, è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero, e l’albero cresce così… Un musicista aveva una frase molto bella, Gustav Mahler diceva: la tradizione in questo senso è la garanzia del futuro, è la garanzia, non è un pezzo da museo. Se tu concepisci la tradizione chiusa, questa non è la tradizione cristiana. Sempre è il succo delle radici che ti porta avanti, avanti, avanti… Per questo, per quello che tu dici, bisogna pensare e portare avanti la fede e la morale, e finché va nella direzione delle radici, del succo, va bene. Con queste tre regole di Vincenzo di Lérins che ho menzionato.
Matteo Bruni
C’è ancora una domanda da parte di Eva Fernandez di Cope.
Eva Fernandez (Cadena Cope)
Santo Padre, alla fine di agosto abbiamo un Concistoro. Ultimamente molti Le hanno chiesto se ha pensato di dimettersi, non si preoccupi, questa volta non glielo chiederemo, ma siamo curiosi, Santo Padre: ha mai pensato quali caratteristiche vorrebbe che avesse il suo successore?
Papa Francesco
Questo è un lavoro dello Spirito Santo, sai? Io non oserei mai pensare… Lo Spirito Santo questo lo sa fare meglio me, è meglio di tutti noi. Perché ispira le decisioni al Papa, sempre ispira. Perché è vivo nella Chiesa, non si può concepire la Chiesa senza lo Spirito Santo, è Colui che fa le differenze, fa anche il chiasso – pensa alla mattina di Pentecoste – ma poi fa l’armonia. È importante parlare di “armonia” più che di “unità”. Unità, ma armonia, non come cosa fissa. Lo Spirito Santo ti dona un’armonia che è progressiva, che va avanti. A me piace quello che San Basilio dice dello Spirito Santo: “Ipse armonia est”, “Lui è l’armonia”. È armonia perché prima ti fa il chiasso con la differenza dei carismi. Lasciamo questo lavoro allo Spirito Santo. Sulle mie dimissioni, vorrei ringraziare di un bell’articolo che ha fatto una di voi, su tutti i segnali che potrebbero condurre a una dimissione e tutti i segni che stanno apparendo. Questo è un bel lavoro giornalistico, un giornalista che poi alla fine dà un’opinione. Vedere anche i segnali, non solo le dichiarazioni; quel linguaggio sotterraneo che anche dà dei segnali. Saper leggere i segnali o almeno fare uno sforzo di interpretazione che può essere questo o può essere quell’altro, questo è un bel lavoro vostro e ringrazio tanto.
Matteo Bruni
Allora, forse un’ultima domanda da parte di Phoebe Natanson di ABC.
Phoebe Natanson (ABC NEWS)
Scusi, Santo Padre, lo so che ha avuto molte domande di questo tipo, ma volevo chiedere, in questo periodo, con le difficoltà della salute e tutto, Le è venuto in mente l’idea che può darsi fosse il momento di ritirarsi? Ha avuto dei problemi che Le hanno fatto pensare a questo? Ci sono stati dei momenti difficili che Le hanno fatto pensare a questo?
Papa Francesco
La porta è aperta, è una delle opzioni normali, ma fino ad oggi non ho bussato a quella porta, non ho detto: “Andrò in questa stanza”. Non ho sentito di pensare a questa possibilità. Ma forse questo non vuol dire che dopodomani non ci cominci a pensare, no? Ma in questo momento sinceramente no. Anche questo viaggio è stato un po’ il test… È vero che non si può fare viaggi in questo stato, si deve forse cambiare un po’ lo stile, diminuire, pagare i debiti dei viaggi che ancora si devono fare, risistemare… Ma sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero.
E poi, prima di congedarmi, vorrei parlare di una cosa che per me è molto importante. Il viaggio qui in Canada era molto legato alla figura di Sant’Anna. Ho detto alcune cose sulle donne, ma soprattutto sulle anziane, sulle mamme e sulle nonne. E ho sottolineato una cosa che è chiara: la fede va trasmessa “in dialetto”, e il dialetto – l’ho detto chiaramente – materno, il dialetto delle nonne. Noi abbiamo ricevuto la fede in quella forma dialettale femminile, e questo è molto importante: il ruolo della donna nella trasmissione della fede e nello sviluppo della fede. È la mamma o la nonna a insegnare a pregare, è la mamma o la nonna a spiegare le prime cose che il bambino non capisce della fede. E io oso dire che questa trasmissione “dialettale” della fede è femminile. Qualcuno può dirmi: ma teologicamente come lo spiega? Perché, dirò, quella che trasmette la fede è la Chiesa e la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa; la Chiesa non è maschio, la Chiesa è donna. E noi dobbiamo entrare in questo pensiero della Chiesa donna, della Chiesa madre, che è più importante di qualsiasi fantasia ministeriale maschilista o qualsiasi potere maschilista. La Chiesa mater, la maternità della Chiesa. Quella che è la figura della Madre del Signore. È importante in questo senso sottolineare l’importanza nella trasmissione della fede di questo dialetto materno. Ho scoperto questo leggendo ad esempio il martirio dei Maccabei (cfr 2 Mac 7): per due o tre volte dice che la mamma dava loro coraggio in dialetto materno. La fede va trasmessa in dialetto. E quel dialetto lo parlano le donne. Questa è la grande gioia della Chiesa, perché la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa. Questo ho voluto dirlo chiaramente pensando a Sant’Anna. Grazie, grazie della pazienza. Grazie dell’ascolto, riposatevi e buon viaggio. Grazie!
Matteo Bruni
Grazie a Lei, Santità, grazie a Lei.