Il Papa: La pietà popolare, veicolo per trasmettere la fede

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Il Santo Padre ha partecipato, lo scorso 15 dicembre, alla sessione conclusiva del Congresso su “La religiosità popolare nel Mediterraneo”, svoltosi presso il “Palais des Congrès et d’Exposition” di Ajaccio. Il Pontefice ha incoraggiato «i giovani a impegnarsi più attivamente nella vita pubblica e i leader religiosi e politici a essere vicini alla gente, comprendendone le sofferenze e le speranze».

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Il discorso del Santo Padre

Signor Cardinale,
cari confratelli nell’episcopato,
cari sacerdoti, religiose e religiosi,
care sorelle e cari fratelli!

Sono lieto di incontrarvi qui ad Ajaccio alla conclusione del Congresso sulla pietà popolare nel Mediterraneo, che ha visto la partecipazione di numerosi studiosi e Vescovi provenienti dalla Francia e da altri Paesi.

Le terre bagnate dal mar Mediterraneo sono entrate nella storia e sono state la culla di molte civiltà che hanno raggiunto un notevole sviluppo. Ricordiamo, in particolare, quella greco-romana e quella giudeo-cristiana, che attestano la rilevanza culturale, religiosa, storica di questo grande “lago” in mezzo a tre continenti, di questo mare unico al mondo che è il Mediterraneo.

Non possiamo dimenticare che nella letteratura classica, quella greca e quella latina, spesso il Mediterraneo è stato lo scenario ideale per la nascita di miti, racconti e leggende. Come pure il fatto che il pensiero filosofico e le arti, insieme con le tecniche di navigazione, permisero alle civiltà del Mare nostrum di sviluppare una cultura elevata, di aprire vie di comunicazione, di costruire infrastrutture e acquedotti e, ancor più, sistemi giuridici e istituzioni di notevole complessità, i cui principi di base sono ancora oggi validi e attuali.

Tra il Mediterraneo e il vicino Oriente, ha avuto origine una esperienza religiosa del tutto particolare, legata al Dio di Israele, che si rivela all’umanità e inizia un incessante dialogo con il suo popolo, culminando nella presenza singolare di Gesù, il Figlio di Dio. È Lui che ha fatto conoscere in modo definitivo il volto del Padre, Padre suo e nostro, e che ha portato a compimento l’Alleanza tra Dio e l’umanità.

Sono passati più di duemila anni dall’Incarnazione del Figlio di Dio e tante sono state le epoche e le culture che si sono succedute. In alcuni momenti della storia la fede cristiana ha informato la vita dei popoli e le sue stesse istituzioni politiche, mentre oggi, specialmente nei Paesi europei, la domanda su Dio sembra affievolirsi e ci si scopre sempre più indifferenti nei confronti della presenza e della sua Parola. Tuttavia, bisogna essere cauti nell’analisi di questo scenario, per non lasciarsi andare in considerazioni frettolose e giudizi ideologici che, talvolta ancora oggi, contrappongono cultura cristiana e cultura laica. Questo è uno sbaglio!

Al contrario, è importante riconoscere una reciproca apertura tra questi due orizzonti: i credenti si aprono con sempre maggiore serenità alla possibilità di vivere la propria fede senza imporla, viverla come lievito nella pasta del mondo e degli ambienti in cui si trovano; e i non credenti o quanti si sono allontanati dalla pratica religiosa non sono estranei alla ricerca della verità, della giustizia e della solidarietà, e spesso, pur non appartenendo ad alcuna religione, portano nel cuore una sete più grande, una domanda di senso che li conduce a interrogare il mistero della vita e a cercare valori fondamentali per il bene comune.

È proprio in questa cornice che possiamo cogliere la bellezza e l’importanza della pietà popolare (cfr S. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 48). È stato San Paolo VI a “cambiare il nome”, nell’Evangelii nuntiandi cambia da “religiosità” a “pietà” popolare. Da una parte, essa ci rimanda all’Incarnazione come fondamento della fede cristiana, la quale si esprime sempre nella cultura, nella storia e nei linguaggi di un popolo e si trasmette attraverso i simboli, i costumi, i riti e le tradizioni di una comunità vivente. Dall’altra parte, la pratica della pietà popolare attira e coinvolge anche persone che sono sulla soglia della fede, che non praticano assiduamente e che, tuttavia, in essa ritrovano l’esperienza delle proprie radici e dei propri affetti, insieme a ideali e valori che ritengono utili per la propria vita e per la società.

La pietà popolare, esprimendo la fede con gesti semplici e linguaggi simbolici radicati nella cultura del popolo, rivela la presenza di Dio nella carne viva della storia, irrobustisce la relazione con la Chiesa e spesso diventa occasione di incontro, di scambio culturale e di festa – è curioso: una pietà che non sia festosa non ha “un buon odore”, non è una pietà che viene dal popolo, è troppo “distillata” –. In questo senso, le sue pratiche danno corpo alla relazione con il Signore e ai contenuti della fede. Mi piace ricordare, a questo proposito, una riflessione di Blaise Pascal, che in un dialogo con un interlocutore fittizio, per aiutarlo a capire come giungere alla fede, dice che non basta moltiplicare le prove dell’esistenza di Dio o fare sforzi intellettuali; piuttosto, bisogna guardare a coloro che sono già progrediti nel cammino, perché essi hanno iniziato a piccoli passi, «prendendo l’acqua benedetta, facendo dire delle messe» (Pensieri, in Opere complete, Milano, 2020, n. 681).  I piccoli passi che ti portano avanti. La pietà popolare è una pietà che viene coinvolta con la cultura, ma non confusa con la cultura. E fa dei piccoli passi.


Ecco allora una cosa da non dimenticare: «Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi», e quindi in essa «è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 123; 126), che lavora nel santo Popolo di Dio, lo porta avanti nei discernimenti quotidiani. Pensiamo al diacono Filippo, poveretto, che un giorno è stato portato [dallo Spirito] su una strada e ha sentito un pagano, un servo della regina Candace di Etiopia, leggere il profeta Isaia e non capiva nulla. Si è avvicinato: “Tu capisci?” – “No”. E gli ha annunciato il Vangelo. E quell’uomo, che aveva ricevuto la fede in quel momento, arrivando dove c’era acqua dice: “Mi dica Filippo, lei mi può battezzare, adesso, qui, che c’è l’acqua?”. E Filippo non ha detto: “No, deve fare il corso, deve portare i padrini, tutti e due sposati nella Chiesa; deve fare questo…”. No, lo ha battezzato. Il Battesimo è proprio il dono della fede che Gesù ci dà.

Dobbiamo stare attenti perché la pietà popolare non venga usata, strumentalizzata da aggregazioni che intendono rafforzare la propria identità in modo polemico, alimentando i particolarismi, le contrapposizioni, gli atteggiamenti escludenti. Tutto questo non risponde allo spirito cristiano della pietà popolare e chiama in causa tutti, in modo speciale i Pastori, a vigilare, discernere e promuovere una continua attenzione sulle forme popolari della vita religiosa.

Quando la pietà popolare riesce a comunicare la fede cristiana e i valori culturali di un popolo, unendo i cuori e amalgamando una comunità, allora ne nasce un frutto importante che ricade sull’intera società, e anche sulle relazioni tra le istituzioni politiche, sociali e civili e la Chiesa. La fede non rimane un fatto privato – dobbiamo stare attenti a questo sviluppo, direi, eretico della privatizzazione della fede; i cuori si amalgamano e vanno avanti… –, un fatto che si esaurisce nel sacrario della coscienza, ma – se intende essere pienamente fedele a sé stessa – comporta un impegno e una testimonianza verso tutti, per la crescita umana, il progresso sociale e la cura del creato, nel segno della carità. Proprio per questo, dalla professione della fede cristiana e dalla vita comunitaria animata dal Vangelo e dai Sacramenti, lungo i secoli sono nate innumerevoli opere di solidarietà e istituzioni come ospedali, scuole, centri di assistenza – in Francia sono molte! –, in cui i credenti si sono impegnati a favore dei bisognosi e hanno contribuito alla crescita del bene comune. La pietà popolare, le processioni e le rogazioni, le attività caritative delle confraternite, la preghiera comunitaria del santo Rosario e altre forme di devozione possono alimentare questa – mi permetto di qualificarla così – “cittadinanza costruttiva” dei cristiani. La pietà popolare ti dà una “cittadinanza costruttiva”!

A volte qualche intellettuale, qualche teologo non capisce questo. Ricordo una volta che sono andato una settimana nel nord dell’Argentina, a Salta, dove c’è la festività del Señor de los Milagros, il Signore dei Miracoli. Tutta la provincia, tutta, converge nel santuario, e si confessano tutti, dal sindaco a tutti, perché hanno questa pietà dentro. Io andavo sempre a confessare, ed era un lavoro forte, perché tutta la gente si confessa. E un giorno, all’uscita, ho trovato un sacerdote che conoscevo: “Oh tu stai qui, come stai?” – “Bene!”… E mentre uscivamo, in quel momento si è avvicinata una signora con dei santini in mano e dice al sacerdote, un bravo teologo: “Padre, li benedice?”. Il sacerdote, con una grande teologia, le dice: “Ma, signora, lei è stata a Messa?” – “Sì, padrecito” – “E lei sa che alla fine della Messa si benedice tutto?” – “Sì, padrecito” – “E lei sa che la benedizione di Dio viene da parte sua?” – “Sì, padrecito”. In quel momento un altro prete lo ha chiamato: “Oh, come stai?”. E la signora che aveva detto tante volte “sì, padrecito” si rivolge a quello: “Padre me li benedice?”. C’è una complicità, una sana complicità che cerca la benedizione del Signore e non accetta generalizzazioni.

Allo stesso tempo, sul terreno comune di questa audacia di fare il bene, di chiedere la benedizione, i credenti possono ritrovarsi in un cammino condiviso anche con le istituzioni laiche, civili e politiche, per lavorare insieme al servizio di ogni persona, a partire dagli ultimi, per una crescita umana integrale e la custodia di questa “Île de beauté”.

Ne deriva la necessità che si sviluppi un concetto di laicità non statico e ingessato, ma evolutivo, dinamico, capace di adattarsi a situazioni diverse o impreviste, e di promuovere una costante collaborazione tra autorità civili ed ecclesiastiche per il bene dell’intera collettività, rimanendo ciascuno nei limiti delle proprie competenze e del proprio spazio. Benedetto XVI ha affermato: sana laicità «significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire quest’ultima con gli apporti della religione, mantenendo tra loro una necessaria distanza, una chiara distinzione e la necessaria collaborazione tra le due. […] Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile a entrambe» (Esort. ap. postsin. Ecclesia in Medio Oriente, 29). Così Benedetto XVI: una sana laicità, ma accanto una religiosità. Si rispettano i campi.

In questo modo si potranno liberare più energie e più sinergie, senza pregiudizi e senza opposizioni di principio, in un dialogo aperto, franco e fecondo.

Carissime sorelle e fratelli, la pietà popolare, che qui in Corsica è molto radicata – e non è superstizione –, fa emergere i valori della fede e, allo stesso tempo, esprime il volto, la storia e la cultura dei popoli. In questo intreccio, senza confusioni, trova forma il dialogo costante tra il mondo religioso e quello laico, tra la Chiesa e le istituzioni civili e politiche. Su questo tema, voi siete in cammino da molto tempo, è una tradizione vostra, e siete un esempio virtuoso in Europa. Andate avanti! E vorrei incoraggiare i giovani a impegnarsi ancora più attivamente nella vita socio-culturale e politica, con lo slancio degli ideali più sani e la passione per il bene comune. Come pure esorto i pastori e i fedeli, i politici e coloro che rivestono responsabilità pubbliche a restare sempre vicini al popolo, ascoltandone i bisogni, cogliendone le sofferenze, interpretandone le speranze, perché ogni autorità cresce solo nella prossimità. I pastori devono avere queste vicinanze: vicinanza a Dio, vicinanza con gli altri pastori, vicinanza ai sacerdoti, vicinanza ai popoli, che sono così vicini. Questi sono i veri pastori. Ma il pastore che non ha questa vicinanza, neppure alla storia e alla cultura, è semplicemente “Monsieur l’Abbé”. Non è un pastore. Dobbiamo distinguere questi due modi di svolgere la pastorale.

Auspico che questo Congresso sulla pietà popolare vi aiuti a riscoprire le radici della vostra fede e vi sproni a un rinnovato impegno nella Chiesa e nella società civile, al servizio del Vangelo e del bene comune di tutti i cittadini.

Maria, Madre della Chiesa, vi accompagni e vi assista nel vostro cammino. Grazie, tante!