Spagna e America Latina: riconoscere e ringraziare

Il contributo della Spagna alla configurazione dell’identità latinoamericana è stato oggetto di molteplici interpretazioni

Francisco Moreno en Unsplash

L’America Latina ha un’identità peculiare che è emersa come sintesi delle culture indigene ed europee. Che valutazione dobbiamo fare del contributo della Spagna alla nostra realtà?

Nel 1992 si è celebrato il V Centenario dell’“incontro dei due mondi”, come si diceva allora. A quel tempo apparvero con grande forza due interpretazioni polarizzate del ruolo della Spagna nella sintesi culturale latinoamericana. Alcuni presentarono la conquista spagnola con enorme candore come un’epopea evangelizzatrice e civilizzatrice che aveva richiesto la distruzione – della Grande Tenochtitlán e di tante altre comunità – per estirpare il paganesimo. D’altro canto c’era chi sosteneva che non ci fosse niente da festeggiare. La Spagna, per quest’altro gruppo, non era altro che un progetto imperialista che soggiogava dispoticamente le comunità indigene, manipolandone la sensibilità religiosa. Entrambe le interpretazioni sono profondamente gravate dall’ideologia. Come sempre, la realtà, in tutti i suoi fattori, è più complessa delle semplificazioni razionaliste. La Spagna, senza dubbio, ha contribuito positivamente allo sviluppo della sintesi culturale latinoamericana. E questo non ci impedisce di riconoscere che ci sono stati anche deplorevoli eccessi. Le comunità preispaniche avevano profonde intuizioni umanistiche che esprimevano nella loro poesia, nella loro vita comunitaria e nella loro religiosità. Tuttavia, violenza e dispotismo segnarono anche la loro visione del mondo e la loro prassi sociale. Il grano e la zizzania sono permanentemente mescolati.

Qual è la “chiave di lettura” che dobbiamo avere per apprezzare il ruolo positivo della Spagna nella formazione delle nostre attuali identità latinoamericane?

A mio avviso, la “chiave di lettura” per apprezzare il ruolo positivo della Spagna nella configurazione della sintesi culturale latinoamericana è, curiosamente, la stessa che dobbiamo avere per apprezzare la ricchezza e la bellezza delle culture preispaniche: una chiave di lettura imprescindibile simpatia per l’umanità di ogni persona e di ogni popolo. In altre parole: se non partiamo da un’antropologia che ci permetta di comprendere che la ferita del peccato e della Redenzione, operata da Gesù Cristo, operano nella vita umana e nella trama reale della Storia, possiamo facilmente distorcere la nostra comprensione del mondo. Penso subito alla regina Isabella di Castiglia, una donna straordinaria, immersa in un contesto storico-culturale che oggi ci risulta difficile decifrare. La ricerca storico-critica ci permette di scoprire, con stupore, che fu una donna veramente mossa dalla fede. Tuttavia la sua esperienza di fede si è svolta nei limiti della sua fragile condizione umana e di un contesto culturale particolare. Il risultato è che la Regina Elisabetta, guardando la situazione dal 21° secolo, richiede l’approccio più olistico possibile. Solo guardando il “poliedro” della sua vita si può ammirare il suo “genio femminile”, le sue virtù cristiane, e contemporaneamente riconoscere i limiti che le impone il complesso mondo del XV secolo.

Cosa insegna la Chiesa riguardo all‘interpretazione storica di eventi come la conquista o il viceregno?

Una risposta completa a questa domanda richiederebbe molte pagine. Oserei segnalare un breve testo di mons. Jorge Mario Bergoglio: «L’interpretazione storica va fatta con l’ermeneutica della
tempo; Non appena usiamo l’ermeneutica estrapolata, sfiguramo la storia e non la comprendiamo. Se non studiamo i contesti culturali, facciamo letture anacronistiche, fuori luogo».1 A questa affermazione bisogna aggiungere tutto ciò che il Magistero Pontificio insegna sulla scoperta dell’America. Papa Leone XIII pubblicò, ad esempio, un’enciclica su questo argomento (Quarto abeunte saeculo). In molteplici interventi Pio XII riconobbe il ruolo della Spagna nell’evangelizzazione del nuovo mondo. Giovanni XXIII metterà in luce il ruolo di Maria nella prima evangelizzazione americana. E poi, i Pontefici più recenti allargheranno la nostra coscienza affinché possiamo essere grati per il dono ricevuto dalla Spagna e dal Portogallo, e riconoscere, ovviamente, anche i limiti e i peccati, di tutti i partiti.

Grazie per il dono e riconosci il peccato. Sembra facile, ma comporta un duro lavoro da parte di tutti, non è vero?

Sia nella vita personale che nell’interpretazione della Storia, tutti siamo chiamati alla “conversione”. Solo da un cuore pentito che chiede aiuto all’infinita Misericordia di Dio è possibile apprezzare la verità sulla vita e sulla Storia. Pensiamo per un momento ai nostri genitori. Ci danno la vita, ci educano e sicuramente commettono molti errori lungo la strada. Quanti di noi non hanno ferite che provengono dai nostri stessi genitori! È possibile ringraziarli umilmente per la loro paternità solo se abbiamo vissuto in precedenza l’esperienza di riconoscere i nostri limiti e ci siamo scoperti bisognosi di compassione e di misericordia. Cosa succede quando guardiamo alla nostra storia senza questo processo personale? Cadiamo subito nel moralismo. Giudichiamo immediatamente coloro che ci feriscono in modo estremamente duro e non vediamo nulla di buono in loro. La stessa cosa accade nell’arduo processo di interpretazione della Storia d’America.

Cosa possiamo ringraziare la Spagna?


Senza dubbio, la Spagna è stata per noi dell’America Latina il veicolo per conoscere il Vangelo. Allo stesso modo, la Spagna ci ha portato molti elementi della sua cultura che sono stati poi riformulati nel barocco latinoamericano. Basta visitare Puebla, Quito o Lima per scoprire con stupore che a poco a poco si è forgiata una sintesi inedita, in parte ereditata dalla tradizione ispanica. Ora, la cultura barocca non si limita all’architettura della Nuova Spagna o a un certo modo di parlare spagnolo. Il barocco è un modo di essere, di esistere, di celebrare la vita e perfino di affrontare la morte. È la nostra gioiosa complessità che riconcilia la diversità senza sopprimerla. È la nostra capacità di abbracciare e integrare. È il nostro modo di affermare ciò che è umano, ma non in modo razionalista ma ponendo al centro il cuore. In altre parole, il barocco latinoamericano è la modernità cattolica che abbraccia gli spagnoli e gli indigeni in una nuova sintesi. Modernità non illuminata, modernità aperta alla possibilità di un Mistero che salva.

Cosa ha permesso di accogliere l’eredità ispanica nella nuova sintesi barocca latinoamericana?

La corona spagnola voleva evangelizzare, ma con una certa disinvoltura credeva che il mezzo per farlo fosse la spada. Il senso religioso del mondo preispanico desiderava Gesù Cristo. Molti dei primi evangelizzatori rimasero sorpresi dalla grande disponibilità apparsa nell’animo degli indigeni ad accogliere il Vangelo. Tuttavia, c’erano enormi problemi dovuti alla differenza linguistica e alla disparità culturale. I primi dieci anni dopo la “conquista” furono segnati da poche conversioni e da grande confusione. Tuttavia, nel 1531, accadde qualcosa che colse di sorpresa gli spagnoli e gli indigeni: la Vergine Santa Maria di Guadalupe apparve a San Juan Diego nel Tepeyac. È la “prima teologia indigena”, cioè l’avvenimento cristiano irrompe inculturando e correggendo la prospettiva sia degli indigeni che degli spagnoli. María de Guadalupe ci rivela un modo non impositivo e non “colonizzante” per promuovere la riconciliazione sociale e il meticciato. Ella ci educa al metodo dell’incontro per affermare la novità del vangelo, ed è così che emerge empiricamente un popolo nuovo. Da tempo esiste un movimento “anti-apparizionista” che sostiene che la Vergine di Guadalupe sia un’invenzione dei frati per evangelizzare e addomesticare gli indigeni. Cosa ne pensi? Esistono molti modi per affrontare la sfida dell’“anti-apparizionismo”. Anni fa ho avuto l’opportunità di avere alcuni dialoghi a Querétaro e a Città del Messico con David Brading, che attraverso le sue opere ha presentato alcune importanti obiezioni nei confronti di Guadalupana e nei confronti di San Juan Diego. Certamente le argomentazioni attraverso l’esame fisico dell’immagine lo interrogavano, ma non lo convincevano. Credo però che due cose lo abbiano colpito di più: una volta gli dissi che la teologia contenuta nel Nican Mopohua non si spiega con la teologia esistente in Spagna all’inizio del XVI secolo. Il Nican Mopohua è una storia davvero singolare che ha contenuti irriducibili alla formazione teologica dei frati, principalmente francescani, arrivati ​​prima del 1531. Lo commosse anche un altro fatto: il fatto empirico che, a partire dal 1531, iniziò un processo lento, ma reale, di riconciliazione sociale. Quelli di noi che hanno letto i testi contenuti in La visione dei vinti (UNAM, Messico 1984) conoscono bene la profonda depressione e il profondo risentimento che gli indigeni Aztechi soffrirono quando videro il crollo della Grande Tenochtitlan. Studiare in profondità questo momento aiuta a riconoscere la natura “miracolosa” dell’apparizione di Guadalupe, attraverso uno dei suoi effetti più profondi: il meticciato. Nessun popolo europeo a quel tempo, quando incontrava nuove culture, ha promosso processi di meticciato e riconciliazione sociale. L’emergere del Messico e dell’America Latina è un vero miracolo.

Poi María de Guadalupe evangelizzò anche gli spagnoli. È così?

San Juan Diego, laico indigeno, evangelizzato, cioè portò la “Buona Novella” a Mons. Zumárraga, e poi visse come testimone di Gesù e di Maria, fino alla morte. Ho l’impressione che María de Guadalupe non abbia ancora finito quest’opera. In una Spagna e un’America Latina lacerate da forti divisioni e polarizzazioni, il messaggio guadalupano merita di essere maggiormente diffuso. È necessario che compaiano nuovi “Juan Diego” per promuovere che il cristianesimo è un evento che riconcilia e unisce. Papa Francesco ha chiamato tutte le strutture ecclesiali in America, Spagna e Filippine al “Novenario Intercontinentale Guadalupano” per il V Centenario dell’anno 2031. Dio conceda che tutti ci prepariamo ad esso. Dio speri che questo sia un modo per ringraziare la Spagna per tutto il bene che ci ha fatto e per aiutare tutti noi a recuperare un presente e un futuro con Speranza.

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1 J. M. Bergoglio – A. Skorka, Sobre el cielo y la tierra, Sudamericana, Bs 2013, p. 186.

Articolo pubblicato: Caudillo, Lourdes. “Spagna e America Latina: riconoscere e ringraziare”. Litterae Communionis. Anno VII, edizione speciale Tonantzin Guadalupe Vol II Pagina 32