La famiglia baluardo contro la povertà

Le anticipazioni del primo report realizzato dal Family International Monitor

famiglia

Famiglia e povertà: questo il focus su cui ha concentrato la sua attenzione il Family International Monitor costituito da Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf), Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II e Università Cattolica S. Antonio di Murcia (Ucam), nel suo primo triennio di attività, dividendo l’indagine su due filoni, e approfondendo prima la povertà relazionale e poi quella economico-strutturale. Il rapporto sarà presentato nelle prossime settimane ma intanto è stata resa nota una prima sintesi da cui emergono dati molto interessanti.

Priorità globale

Francesco Belletti, direttore scientifico del Family Monitor spiega come l’intreccio tra povertà relazionale e povertà economica sia “una priorità a livello globale, come si riscontra anche analizzando i 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile – Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Il lavoro del Family International Monitor – prosegue Belletti – intende evidenziare il ruolo che le relazioni familiari giocano nel qualificare la condizione di povertà delle persone e nel promuovere la loro resilienza a condizioni difficili, rivolgendo anche particolare attenzione ai sistemi di relazioni allargate attorno alle famiglie, così come alle dinamiche più macro-sociali come legami sociali di comunità o vicinato, coesione sociale e solidarietà delle relazioni brevi”.

Disuguaglianze in crescita

Un’analisi preziosa in questo periodo di pandemia che ha senza dubbio esteso i problemi sia sul piano relazionale che su quello economico. Una fotografia che potrebbe rivelarsi uno strumento utile per allestire politiche in grado di sostenere la rete familiare, che si è rivelata, ancora una volta, la più preziosa nell’affrontare l’ennesima crisi degli ultimi decenni. Una necessità che emerge con chiarezza dal report, per contrastare le forti condizioni di disuguaglianza socio-economica, che sono invece risultate in crescita, negli ultimi vent’anni, praticamente in tutti i contesti nazionali analizzati.

Dodici i Paesi esaminati

I dati raccolti hanno preso in esame alcuni Paesi particolarmente significativi per l’area geografica di quattro continenti: Benin, Sud Africa e Kenya per l’Africa; Brasile, Cile, Haiti e Messico per le Americhe; India, Libano e Qatar per l’Asia; Italia e Spagna per l’Europa.

L’indagine ha utilizzato 90 indicatori raggruppati in otto diverse aree tematiche che potessero fornire in maniera omogenea per ogni paese un riferimento statistico generale, utilizzando come fonti prioritarie Banca Mondiale e Nazioni Unite. In ognuno dei Paesi è stato inoltre individuato un centro di ricerca, che ha elaborato un Report Paese sulla base di un questionario, tenendo presenti in particolare quattro aspetti: la famiglia come attore economico, come soggetto educativo, come soggetto di cura e reciprocità e come soggetto di cittadinanza attiva.

Le difficoltà di conciliare famiglia e lavoro

Dall’indagine emergono alcune problematiche comuni in tutto il mondo, come la difficile conciliazione famiglia-lavoro (non solo per le donne), oppure l’impatto delle tecnologie della comunicazione sulle relazioni familiari, o la crescente disuguaglianza socio-economica interna ai singoli Paesi, forse anche più grave della disuguaglianza tra i diversi Paesi.

Relazioni familiari decisive contro la povertà

In questo contesto le relazioni familiari fanno la differenza. In particolare, risulta con grande chiarezza per le famiglie particolarmente vulnerabili dal punto di vista socio-economico che la forza delle relazioni familiari è fattore decisivo per impedire di scendere sotto la soglia di povertà. A sua volta, è altrettanto chiaro che la forza delle relazioni familiari presenta una significativa correlazione con la dimensione istituzionale del matrimonio e della famiglia; cioè, famiglie con elevati livelli di riconoscimento giuridico presentano maggiori indicatori di tenuta, di qualità familiare e di benessere. La coppia è quindi la risorsa primaria di qualità della famiglia, soprattutto in condizioni di grave vulnerabilità socio-economica.

Dal report emerge anche la grande importanza delle reti relazionali allargate, sia intergenerazionali che non parentali come vicinato, amicizia e associazionismo.

Fragilità relazionali

Al contrario, dinamiche interne di forte disuguaglianza tra membri più forti ai danni dei più deboli, (in genere maschi adulti a scapito di donne, minori e anziani), appaiono correlate a bassi livelli culturali e a marginalità sociale. Inoltre, alcune forme familiari sono strutturalmente più fragili di altre: le famiglie con un solo genitore, con uno o due genitori adolescenti e le famiglie numerose. In alcuni casi queste vulnerabilità potrebbero essere meglio sostenute da interventi mirati di welfare.

Tre aree di rischio

Rispetto alle singole fragilità interne sono emerse con particolare evidenza tre specifiche aree di attenzione: l’evento nascita, tuttora carico di rischi di vita (per madri e neonati) in molti Paesi, spesso esposto all’abbandono del bambino, e scarsamente protetto; la condizione dei giovani, fortemente penalizzata in quasi tutti i Paesi considerati, e la violenza in famiglia, fenomeno sottotraccia ma diffuso e segnalato in tutti i contesti territoriali e non solo nelle classi socialmente più povere.

I dati specifici

Per quanto riguarda alcuni dati specifici, risulta che se da un lato l’ampiezza delle famiglie costituisce un’oggettiva risorsa relazionale è anche un potenziale fattore di vulnerabilità. Le ridotte dimensioni delle famiglie in Italia e Spagna, emblemi dell’invecchiamento e del crollo della natalità dell’Europa occidentale, confermano un trend demografico negativo.

Tasso di fertilità e giovani

In Africa abbiamo il numero medio di componenti della famiglia passa dai 5,2 del Benin ai 3,4 del Sud Africa, una popolazione sotto i quindici anni che va dal 42,4% al 28,1% e un tasso di fertilità tra il 4,9 e il 2,4. In America, ad eccezione di Haiti (4,3 componenti medi per famiglia) si oscilla tra i 3,3 del Brasile (dove la popolazione sotto i 15 anni raggiunge il 47,2%) ai 3,7 del Messico. La percentuale di giovani è più bassa in Cile (20,4%) mentre il tasso di fertilità spazia dall’1,6 per il Cile al 2,2 del Messico al 3 di Haiti.


In Asia le famiglie più numerose sono in India (4,8 componenti e 2,2 tasso di fertilità, 27% i bambini), la minore in Libano (3,8 componenti, con il 26,1% di popolazione giovanile e 2,1 di tasso di fertilità), mentre in Qatar si registrano 4,7 componenti per famiglia, ma solo il 13,5% di popolazione giovanile e appena 1,9 di fertilità, a fronte del più alto reddito pro capite nei Paesi presi in considerazione, con 124.410 dollari (in coda Haiti con 1.880 dollari pro capite, seguito dal Benin con 2.410).

L’Europa invecchia

In Europa, invece, non ci sono sostanziali differenze tra Italia e Spagna, rispettivamente con 2,3 e 2,5 componenti a famiglia, di cui solo il 13-14% della popolazione sotto i quindici anni e l’1,3 di tasso di fertilità, molto lontano dalla soglia che garantisce il ricambio generazionale (convenzionalmente fissato a 2). Un inverno demografico contro il quale è sempre più urgente trovare rimedi efficaci, sostenendo la famiglia anche sul piano economico.

Le madri adolescenti

Per quanto riguarda le vulnerabilità, infine, i dati confermano che la monogenitorialità è fenomeno ormai consolidato e non marginale (attorno al 10% del totale dei nuclei familiari, tranne l’India), e che è prevalentemente legato a madri sole. Ben più efficace appare, come indicatore di vulnerabilità, la presenza di maternità di adolescenti, che varia da 5,2 casi di gravidanza su mille ragazze adolescenti in Italia ai 78 del Benin e ai 75 del Kenya. Questi casi sono segnali della doppia vulnerabilità che colpisce i soggetti sia in quanto minori sia in quanto donne.