“Le dittature sono inutili e finiscono male, prima o poi”, ha detto papa Francesco, di ritorno dalla visita in Asia e Oceania, il 13 settembre. Con questa espressione semplice, ma potente, possiamo notare due cose.
In primo luogo, le dittature non rispondono alle esigenze pratiche dell’uso del potere. Dall’antichità ai giorni nostri, un’analisi puramente pragmatica delle dittature – nelle loro diverse modalità – mostra che la concentrazione del potere in una persona, o in un gruppo ristretto, si traduce prima o poi nella restrizione delle libertà, nella repressione popolare e mancanza di rispetto dei diritti umani.
Ciò, tra l’altro, genera una situazione di “equilibrio instabile”, cioè di tensione sociale contenuta che a volte può sembrare “pacifica”, ma che, come una pentola a pressione, accumula malcontento, indignazione e insoddisfazione sociale. In termini pratici, le dittature, per essere mantenute, generano un costo elevato che finiamo per pagare tutti. La sua funzionalità sociale è evidente. E il suo finale è terribile. A volte viene versato del sangue, a dimostrazione che il potere è entrato in una logica che sacrifica il popolo che dovrebbe servire.
Da un punto di vista etico, inoltre, è facile vedere che le dittature sono lubrificate dalla menzogna, dalla corruzione e dalla manipolazione del popolo. La storia nazionale viene reinventata, si ripetono i “mantra” sulla sovranità popolare, mentre nell’ombra emerge una nuova oligarchia che approfitta dispoticamente della sua posizione privilegiata. Il popolo, soprattutto quando è nobile e spera in un po’ di sollievo di fronte a tanta ingiustizia sociale e violenza criminale, tende a credere nel discorso messianico, nella promessa fatua, o nella vecchia strategia basata sul “pane e circhi”. .”
Lo studio delle dittature nella loro natura e storia è istruttivo. Dalla caduta della Repubblica Romana e l’ascesa dell’Impero, alle dolorose esperienze del XX e dell’inizio del XXI secolo, la Storia si ripete. Sì, si ripete almeno in un punto: il potere folle divora vite e dignità. L’impotenza sociale travolge le menti e i cuori di molti. Ci sono però sempre uomini e donne che riescono ad avvertire che l’ingiustizia non può avere l’ultima parola. Il “desiderio di giustizia” – direbbe Horkheimer – prevale nel cuore umano. Grazie a chi è fedele a questa tensione antropologica, le dittature – tutte – hanno i giorni contati.
Pertanto, oggi, i cattolici hanno una convinzione particolare al riguardo: non bisogna favorire la formazione di gruppi ristretti che si appropriano dell’idea di “popolo” o della nota “sovranità popolare”. Qualunque sia il loro segno ideologico. Al contrario, «la Chiesa apprezza il sistema democratico, nella misura in cui esso assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di scegliere e controllare i propri governanti, o di sostituirli tempestivamente in modo pacifico . Per questo non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti che, per interessi particolari o ragioni ideologiche, usurpino il potere dello Stato”. (Giovanni Paolo II, Centessimus annus, n.46).