Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, i partecipanti all’Incontro Internazionale promosso da “Somos Community Care” in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita.
Papa Francesco ha ricordato momenti personali e preziosi del suo passato, soprattutto quelli che hanno coinvolto il suo medico di famiglia, durante l’udienza con i partecipanti a un convegno internazionale promosso da “Somos Community Care”, un’associazione di medici senza scopo di lucro.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari amici, buongiorno e benvenuti!
Sono contento di incontrarvi. Saluto il Dottor Ramon Tallaj, fondatore di SOMOS Community Care, e Monsignor Vincenzo Paglia Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Insieme, in questi giorni, avete voluto riflettere sull’importanza di rivalutare il ruolo e la presenza, in ambito sanitario e sociale, del medico di famiglia, e ciò è molto bello, perché si tratta di una figura fondamentale, che unisce in sé competenza e prossimità. Vorrei perciò sottolineare brevemente due aspetti di questa missione, proprio a partire dalla sua definizione: quello di essere medico e quello di essere “di famiglia”.
Primo: il medico, cioè colui che si prende cura. La scienza oggi ha fatto passi da gigante. Possiamo accedere a terapie fino a pochi decenni fa inimmaginabili. Ma la medicina, anche quella più tecnologizzata, è sempre prima di tutto un incontro umano, fatto di cura, vicinanza e ascolto e questa è la missione del medico di famiglia. Quando stiamo male, nel medico cerchiamo, oltre al professionista competente, una presenza amica su cui contare, che ci infonda fiducia nella guarigione e che, anche quando questa non fosse possibile, non ci lasci soli, ma continui a guardarci negli occhi e ad assisterci, fino alla fine. San Luca – che San Paolo chiama «il caro medico» (Col 4,14), un vostro collega! – descrive in questo modo l’agire di Gesù verso i malati (cfr Lc 5,12-26; 8,40-56): Gesù si avvicinava, entrava nelle loro case, parlava con loro, li ascoltava, li accoglieva nella loro sofferenza e li guariva. Il medico di famiglia è così, presente, vicino, capace di dare calore oltre che assistenza professionale, perché conosce personalmente i suoi pazienti e i loro cari e cammina con loro, giorno per giorno, anche a costo di sacrifici.
Io ricordo da bambino il medico di famiglia che veniva a casa, ci guariva; ricordo anche la ostetrica di famiglia perché siamo in cinque, così quando veniva quella donna con la valigia, sapevamo che arrivava un fratellino! E’ una familiarità il medico di famiglia di allora e ho tanti bei ricordi del medico di famiglia. E questo ci porta al secondo motivo per cui è prezioso il suo ruolo: essere persona “ di famiglia”. È la dimensione comunitaria dell’assistenza, che richiede di «contestualizzare […] ogni paziente nelle sue relazioni» e nei suoi «legami affettivi e sociali». [1] La presenza del medico di famiglia, infatti, aiuta a circondare il malato con una rete di affetto, di condivisione e di solidarietà, che va oltre la fase diagnostico-terapeutica, rafforzando i rapporti umani, facendo della sofferenza un momento di comunione da vivere insieme, non solo per il bene del paziente, ma per quello di tutti: di chi cura, dei familiari, della comunità allargata. Si evita così il rischio che la persona che soffre e chi le sta vicino siano risucchiati dalla macchina della burocrazia e dell’informatizzazione; o peggio che finiscano vittime di logiche di mercato che poco hanno a che fare con la salute, soprattutto quando si tratta di persone anziane e fragili.
Cura e familiarità sono due doni di grande valore per chi soffre! Come dicevo, io ho tanti bei ricordi del medico di famiglia. Ricordo – io sono nato nel ’36 – ricordo un 15 luglio del ’42, la mamma era in attesa del quarto e io e i miei fratelli, mio fratello era con un’influenza, è venuto il medico e ha detto: “Sto guardando…”. Un ricordo molto bello! E ci dà la medicina, era un raffreddore, un’influenza. E poi si avvicinò alla mamma, la mamma era lì con papà e le ha toccato la pancia dicendo: “Eh, è tempo già! Speriamo…”. E quella stessa sera nacque il quarto. Questi ricordi di tenerezza, di familiarità del medico di famiglia, sono cose che io porto con me perché in quel tempo le cose erano così, tanto belle!
Perciò, cari amici, è importante quello che state facendo. Rinnovo la mia benedizione sul vostro progetto e prego per voi. E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie!
__________________________________________________
[1] Intervista a Mons. Renzo Pecoraro, “La finestra del Papa”, 15 novembre 2023.